mercoledì 9 marzo 2011

la gnocca con gli stivali



Stamattina mi sveglio con un unico rimpianto: non aver comprato gli stivali…erano pure in saldo uffa!!! Si, ieri sono andata al centro commerciale qui vicino alla ricerca di qualche residuo di saldo…anche perché da quando mi sono lanciata, tra aperitivi milanesi e serate mondane in discoteca, ho proprio voglia di cambiare look…ma è anche un po’ esigenza…
Entro in un negozio e adocchio un paio di stivali…del mio numero. Di certo non sono del mio stile, cioè dello stile “brava ragazza prossima alla beatificazione”, ma a pensarci bene potrebbero essere dello stile che ho voglia di adottare almeno per ora, almeno da quando sono rinata e ho iniziato a frequentare la movida milanese…beh per dirla alla maniera della mia cara collega devo fare un passo indietro.
Domenica pomeriggio io e lei alla volta del museo del ‘900. Arrivate in piazza Duomo rimaniamo sbalordite dalla coda che avremmo dovuto fare per entrare in museo per cui, senza colpo ferire, svoltiamo per via Torino: shopping. In un negozio di intimo lei era alla ricerca di un pigiama…lei tra pizzi e merletti mentre io nel reparto pigiamoni in pile con stampe di orsi e cuori rosa. Conoscendo in linea di massima i suoi gusti le propongo un modello e lei mi risponde: “non è abbastanza mignottesco”. Non vorrei star qui a spiegare che sia io che lei non siamo alla ricerca di abiti, da notte o di giorno che siano, mignotteschi giusto per “andare a lavorare”, perché di certo la scuola non è il luogo adatto per fare sfilate di moda di questo tipo, ma entrambe siamo del parere che una donna deve essere donna sempre e molto spesso la cura e il rispetto per la propria persona e per il proprio corpo partono dalla biancheria intima, dagli abiti, dal trucco.
Ebbene per tornare a noi gli stivali invece erano abbastanza mignotteschi. Ma la mia vena genovese, arteria direi vista la mia totale incapacità di lasciarmi andare alle spese pazze, ieri mi ha frenata e quindi sono tornata a casa con la convinzione che “non sono del mio stile anche se costavano relativamente poco, perché va bene comprarli in saldo ma il costo deve essere direttamente proporzionale all’uso che devo farne e io quegli stivali non li userò certo per andare a scuola e se mai dovesse ricapitarmi di andare a ballare potrei mettere le scarpe che ho…anche perché non ho il resto dell’abbigliamento adatto a stivali di quel genere”. “Però in fondo erano belli, non ho mai avuto stivali simili…in fondo avrei potuto”.
Beh stamattina di certo non potevo andare a comprarli perché sarei stata a scuola tutta mattina, avrei finito alle 13 e sarei dovuta andare di corsa a Milano perché nel primo pomeriggio sarei dovuta partire e, anche se il mio unico alunno del mercoledì sarebbe stato assente, già lo sapevo, non avrei potuto di certo lasciare il posto di lavoro…risulto sempre in servizio. Va beh…vorrà dire che non era destino, forse è meglio così, risparmio. Fino all’ora della colazione la mia idea era questa.
A scuola, prima del suono della campana che segna l’inizio della prima ora, vedo la mia collega stranamente con delle ballerine ai piedi…lei che di solito azzarda il tacco 12 che porta in giro da una classe all’altra e le faccio notare il mio stupore. Per cui non potevo non darle la notizia degli stivali in stile mignottesco, asssieme alla notizia che non sarei riuscita a comprarli in tempo utile. “pensa che devo stare qui 5 ore a far nulla” e lei che fa? giusto per mettere acqua sul fuoco: “ma scherzi??? Ma vai a comprarli, costano poco e poi te li ritrovi per l’anno prossimo, ma vai dal vicepreside e gli dici che devi partire e devi ritirare un regalo per i tuoi genitori, tanto ci metti un attimo”. Mi si è aperto un mondo…mi vedevo già in discoteca a ballare con i miei stivali…ma c’è il problema del chiedere il benedetto permesso tutte le volte…ci penso un po’ su ma poi mi convinco che è meglio chiederlo al vice che alla preside, per cui cerco di varcare la soglia della presidenza con una falsissima sicurezza e serietà, ma soprattutto con la consapevolezza di non chiedere la luna ma con dentro la solita soggezione che mi mette la presidenza già dai tempi in cui vi entravo da alunna.
Varcata la porta dell’inferno però sorpresina: il vice inizia a parlare e mi propone gentilmente uno scambio di ore: insomma ero libera. Rientro in sala prof ballando e cantando "pèpèpèpèpèpè" tipo carnevale di Rio. Alle 9.00 suona la campana che segna la fine della prima ora per cui corro a casa, salgo su, entro in casa solo per posare la borsa di lavoro, scendo giù, prendo la bici, corro al centro commerciale con l’acido lattico alle stelle causa sforzo in bici (sono una notissima nemica dello sport), entro al centro e mi catapulto nel negozio afferro gli stivali, pago ed esco trionfante con gli stivali in mano. Mi sono sentita Fantozzi quando anche lui, dopo due rapine, esce trionfante dalla posta con la busta della pensione in mano, in bella mostra, avendo nascosto i soldi nella tasca dei pantaloni, e i ladri che fanno? Gli strappano i pantaloni.

domenica 6 marzo 2011

alle mie piccine




Quando mia sorella ha deciso di regalarmi le due stelle più belle del firmamento ho fatto una promessa: che ci sarei sempre stata nei loro momenti di bisogno. Mi auguro che loro non vivano mai "momenti di bisogno" ma essendo le persone che amo di più al mondo, non potrò mai deluderle nonostante io sappia che non saranno mai mie come potrebbe essere mio un figlio. A loro ho dedicato questa pagina tratta dal libro "le luci nelle case degli altri".

[…]
Amore mio,

ti ho visto solo di sfuggita, poi un’infermiera ti ha portato via. Avevo così tanta tantissima voglia di conoscerti che evidentemente tu l’hai avvertita e sei arrivata con due mesi di anticipo.
Minuscola come una mandorla dice il dottore.
È per questo che adesso bisognerà tenerti per un po’ in una scatola di vetro: per trasformarti da una mandorla a una bambina vera! Il dottore mi assicura che tutto andrà bene, però in questo letto di ospedale che ci sto a fare io se tu non ci sei?
Allora ti scrivo.
Perché non ce la faccio a pensar ad altro che non sei tu.
E perché sono così tante le cose che da qui a sempre vorrei darti, è così grande la paura di non farcela che almeno, se mai un giorno leggerai questa lettera, saprai che ce l’avevo messa tutta ma tutta tutta quanta. Vorrei averti qui con me adesso, ma questo già te lo detto.

Vorrei vorrei vorrei.

Vorrei trovare per te un nome perfetto, di quelli che le persone quando ti chiedono: “come ti chiami?”, tu gli rispondi: “mi chiamo così” e loro ti dicono: “ma ti sta proprio benissimo questo nome! Sembra creato a posta per te”.

Vorrei vorrei vorrei.

Vorrei aver studiato un po’ di più l’italiano e vorrei aver letto tanti bei libri per scriverti una lettera piena delle parole più preziose del mondo: ma a scuola non ci sono mai andata troppo volentieri. Poi quando sono morti i nonni ho dovuto sbattermi per cerare un lavoro, e addio cultura! Per non parlare del lavoro che alla fine ho trovato, allo Studio Amministrazioni Poggio Ameno: sono sempre alle prese con i conti e le tasse che le persone pagano o non pagano, altro che parole belle! Ma proprio una ragazza che conosco grazie a questo lavoro, che si chiama Lidia, un giorno mi ha detto una cosa da rifletterci sù: ha detto “più sai usare le parole più ti allontani anziché avvicinarti a quello che vuoi realmente esprimere”. Quindi sai che ti dico? Sono felice di non saper scrivere bene per dirti quello che vorrei.

Vorrei vorrei vorrei.

Farti mangiare tutto il cioccolato che vuoi senza che ingrassi (è buonissimo, il mio preferito è quello al latte).
Che se i compagni di classe ti prendono in giro per qualche motivo, tu pensi che sono sbagliati loro, mica tu.
Fare molti viaggi con te (io non ho nemmeno il passaporto, ma adesso me lo faccio perché il mondo là fuori è tantissimo e tu dovrai vederlo tutto, dovrai conoscerlo).

Vorrei che non ti ammalassi mai.
Che non ti spuntano i denti del giudizio (toglierli fa davvero male).
Che ti piacciono i cappelli come piacciono a me, così possiamo collezzionarli insieme.

Vorrei che hai tanti amori di quelli scemi, che fanno girare la testa e ronzare i calabroni in pancia: tutti non fanno che ricordarmi che l’amore nella vita non è tutto, e certamente hanno ragione. Ma che ti devo dire? I giorni più felici che ho passato (senza contare oggi, naturalmente) sono stati quelli che ho passato innamorata. Magari si qualcuno che non ne valeva affatto la pena, ma che fà? Non c’è cosa più bella che svegliarsi in un letto dove non avevi mai dormito prima di quella notte, e pensare: ecco, in questo momento non mi manca niente. E quindi vorrei che di quel genere di mattine tu ne vivi tante.

Ma naturalmente che poi, ad un certo punto, trovi la persona giusta (giusta per te intendo). Io non ci sono riuscita ma ancora ci spero. Il problema è che gli uomini rimangono incantati quando allo zoo vedono per la prima volta una giraffa: ma poi a casa preferiscono tenere un cagnolino.
È per questo che vorrei che cresci rara come una giraffa in città, ma con l’istinto domestico del cagnolino (che a me è sempre mancato).

Vorrei vorrei vorrei.

Che ti piacerà ballare.
Che nei momenti di disperazione non ti viene in mente di invidiare la felicità degli altri, le fortune, i successi degli altri, le certezze, i risultati, le luci nelle case degli altri: dappertutto c’è del bene, dappertutto c’è del male.

Vorrei pensarti sempre più forte di quello che potrà capitarci.
Insegnarti a cucinare.
A riconoscere i nomi delle piante (anche quelle strane).

Vorrei che trovi un amico come per me è Michelangelo, qualcuno che mentre tutto gira e cambia, rimane fermo.
Che impari almeno una lingua straniera (io non ne sò nessuna e mi sento una deficiente).

Vorrei che leggerai questa lettera quando ne avrai bisogno, così potrà farti bene come a me oggi stà facendo bene scriverla.

Vorrei che fino a quel momento tu la tieni con te, in una busta, come una specie di amuleto magico che ti protegge da tutto quello che di brutto stà là fuori.

Vorrei vorrei vorrei.

Che litighiamo quel poco che basta per capire che siamo davvero importanti l’una per l’altra.
Che ti crescono i capelli lisci (quelli ricci pare che sono una scocciatura).

Vorrei che tuo papà fosse un astronauta che cammina sulla luna ma pensa sempre a noi, e non un uomo come tanti, che abita in via Grotta Perfetta 315 e una sera di marzo, forse per noia forse per curiosità, nell’ex lavatoio del sesto piano ha fatto l’amore con me.

Vorrei vorrei vorrei.

Che le infermiere ti portano al più presto qui.
Perché so che tutti i giorni qualcuno nasce così come purtroppo qualcuno muore. Ma che ci vuoi fare? Quando tocca a te credi che è la prima volta che capita, in assoluto. E oggi mi sembra che nessuna donna, oltre a me, è mai diventata

Mamma

[…]

Chiara Gamberale – Le luci nelle case degli altri