sabato 27 luglio 2013

Fame d'aria

Come sarebbe stato se non fossi mai andata via? Se avessi continuato a tenere la mia mano sulla tua, se avessi continuato ad ascoltare ogni nota che sapientemente e magistralmente facevi vibrare nell’aria. Sono passati tanti anni nei quali mi sono imposta di dimenticarti ma… “Io non sono capace di tornare indietro”, ricordi?
Me lo ero imposta perché sapevo che non sarei mai stata capace di farlo in modo naturale. Un amore non muore mai di morte naturale. Muore a causa di incidenti, muore per suicidio, muore per omicidio ma mai per morte naturale. Muore perché gli strappi il cuore e le viscere, muori perché gli tarpi le ali e non gli consenti più di spiccare il volo. In quanti modi può morire un amore, eh? Davvero tanti.
E poi che succede? Dopo tanti anni in cui sono stata ferrea con la mia decisione, provando a perdere la memoria pur di non pensarti, pur di non ricordarmi di te, glissando tutti i tuoi inviti e tentativi di riavvicinamento, un giorno di questi mi hai trovata più vulnerabile del solito. Ed ecco che in un secondo mi sono giocata tutta la fatica che avevo fatto in tanti anni. Fatica per dimenticarti, fatica per non pensarti, fatica per non sentire quella voce che da quella maledetta mezzanotte di tanti anni fa non mi ha mai più abbandonato. Continua imperterrita a seguirmi. Pure quella era una notte di mezza estate, proprio come adesso.
Ero talmente offuscata da quella voce che non ho visto il sale che portavi in mano e che, con la scusa di una carezza, con indifferenza hai spalmato sulle mie ferite mai rimarginate.
Adesso hai deciso tu di andare via. Tornare era stato un gioco, una nota sbagliata da rifare, uno sfizio, un’ora di libera uscita.  
“Fame d’aria” la chiamano i medici.
Spero che tu sia tornato a respirare, io sto boccheggiando.

martedì 23 luglio 2013

W la squola


Ogni anno, a settembre, inizia per me un’avventura. Purtroppo non chiamandomi Bonaventura a giugno non ricevo in regalo l’assegnone con la scritta “un milione” (gli amanti del vintage come me capiranno).
Piuttosto ogni anno è un’impresa sempre più difficile e, per non farci mancare nulla, noi precari ci troviamo di fronte a dover cambiare scuola, colleghi e alunni molto spesso.
Nonostante la precarietà, ho avuto la fortuna di lavorare nella stessa scuola negli ultimi tre anni: una scuola di provincia che mi ha insegnato tante cose, che mi ha fatto crescere come docente e come persona, con dei colleghi coi quali ho spartito gioie e dispiaceri della mia vita senza la paura di essere giudicata, e con degli alunni che ho visto crescere: bambini che da un anno all’altro mi hanno salutato con la voce cambiata, ormai da uomini, ai quali ho visto spuntare accenni di baffetti e batuffoli di barbetta; bambine alle quali, una volta cresciute, ho cercato di far capire l’importanza di essere donna anche condividendo i dispiaceri dovuti alle loro prime cotte.
Fare l’insegnante di sostegno mi da modo di vedere la classe da un’altra angolazione. Mentre il docente di materia è concentrato in spiegazioni, mappe e concetti io, dal mio angolino, mi godo i mormorii dei ragazzi, le risate soffocate col compagno di banco, i loro sguardi persi nel vuoto, i pensieri che vagano chissà dove prendendo quasi forma.
Ma a fine anno, chissà perché, cade ogni barriera e, salutandoli, cerco di memorizzare ogni loro tratto, per portarli via con me, nella mia memoria, perché loro mi hanno insegnato ogni giorno qualcosa e fanno parte di me come la forma delle mie mani o il colore dei miei occhi.
Voglio dedicare ai miei alunni queste due poesie di Gianni Rodari, un uomo, un maestro, che ha passato la sua vita accanto ai bambini e con le cui filastrocche sono cresciuta.
“Magari capiterà di incontrarci per caso, come fu un caso incontrarvi la prima volta. Buona vita, ragazzi, abbiate cura di voi, sempre!”


Problemi di stagione
<< Signor maestro, che le salta in mente?
Questo problema è un’astruseria, non ci si capisce niente:
“trovate il perimetro dell’allegria,
la superficie della libertà,
il volume della felicità…”
quest’altro poi, è un po’ troppo difficile per noi
“Quanto pesa una corsa in mezzo ai prati?”
Saremo certo bocciati >>
Ma il maestro che ci vede sconsolati:
<< Son semplici problemi di stagione.
Durante le vacanze troverete la soluzione >>.

Il paese delle vacanze
Il paese delle vacanze non sta lontano per niente:
se guardate sul calendario lo trovate facilmente.
Occupa, tra Giugno e Settembre, la stagione più bella.
Ci si arriva dopo gli esami.
Passaporto, la pagella.
Ogni giorno, qui, è domenica, però si lavora assai:
tra giochi, tuffi e passeggiate non si riposa mai.

Buone vacanze ragazzi!

venerdì 19 luglio 2013

La testa del chiodo



 

La palma della mano
i datteri non fa,
sulla pianta del piede
chi si arrampicherà?

Non porta scarpe il tavolo,
su quattro piedi sta:
il treno non scodinzola
ma la coda ce l’ha.

Anche il chiodo ha una testa
Però non ci ragiona:
la stessa cosa capita
a più di una persona.

 

Gianni Rodari

domenica 7 luglio 2013

La festa delle stelle innamorate


Oggi siamo molto distratti per dare il proprio nome ad ogni cosa che ci capita davanti al naso, ma tempo fa fare questo era un dovere per ringraziare l’esistenza di tali cose, per rendere omaggio a un essere sovrannaturale che tanto aveva lavorato o, molto spesso sofferto, per far sì di offrire tali beni.

Chi mi conosce bene sa che sono innamorata del Giappone e del mondo che gira attorno le Geishe, le farfalle della notte, quelle figure misteriose dal sorriso mascherato.

Girovagando in rete qua e là ho scoperto l’esistenza di questa festa, il “Tanabata Matsuri” ovvero la festa delle stelle innamorate. Il Tanabata Matsuri è una festa popolare caratterizzata da vistose e colorate decorazioni, foglietti di carta con preghiere e desideri appesi ai rami degli alberi, sfilate, parate per l’occasione e cibi tipici.

L’origine di questa festa viene dal cielo ricoperto di stelle e risale ad almeno 2000 anni fa.

La leggenda racconta così.

Anticamente sulle sponde del Fiume Celeste (Via Lattea) viveva il sovrano di tutti gli dei e imperatore del Cielo, Tentei, la cui figlia Orihime (in Occidente Vega) passava le giornate a tessere e cucire stoffe e vestiti regali per le divinità.
Lavorava di giorno e di notte e senza avere mai un attimo di sosta, maneggiava con rapidità e destrezza il suo fuso e realizzava abiti sempre più belli e splendidi per poter vestire tutte le divinità. Lavorava talmente tanto che non aveva neppure il tempo di pensare a sé stessa e ai propri interessi o all’amore. Giunta all’età adulta però, il padre fu mosso da pietà e, poichè alla figlia non era mai stato concesso altro che lavorare il fuso, le scelse un marito: era un giovane mandriano, di nome Hikoboshi (Altair) la cui attività consisteva nel far pascolare buoi e fare attraversare loro le sponde del Fiume Celeste. Era un grande lavoratore e anche lui non pensava ad altro che a svolgere il suo lavoro.
Essendo un matrimonio combinato, i due finirono per conoscersi solo il giorno delle nozze; nonostante ciò, non appena i due si incontrarono finirono per innamorarsi follemente l’uno dell’altro. Erano talmente presi dal profondo sentimento che provavano l’un per l’altro che dimenticarono completamente i loro doveri, il loro lavoro e gli altri dei. La loro unica ragione di vita sembrava essere diventata l’amore e la passione.
Così la mandria di buoi finì per essere abbandonata a sé stessa e agli dei cominciarono a mancare gli abiti fino ad ora confezionati da Orihime. A questo punto il sovrano degli dei non poté trattenere la rabbia e punì severamente i due sposini, che fino a quel momento erano diventati inseparabili, avrebbero dovuto vivere le loro vite separatamente. Per evitare che i due si potessero nuovamente rincontrare, rischiando così di abbandonare nuovamente i loro doveri, l’Imperatore del Cielo creò due sponde separate dal fiume Ama no Gawa (Via Lattea), rendendolo impetuoso e privo di ponti, di modo che i due non potessero mai più incontrarsi.
Il risultato non fu però quello sperato: il pastore sognando e pensando sempre alla sua innamorata non accudiva ugualmente le bestie e neppure la dolce fanciulla, pensando continuamente al suo amore perduto, non cuciva più i vestiti agli dei. Il sovrano allora, disperato e mosso da pietà e commozione, con il consenso anche degli altri dei altrettanto commossi, emise tale sentenza: “Se deciderete di ritornare ad occuparvi delle vostre attività come un tempo rispettando i vostri doveri, rimarrete divisi dalle sponde del Fiume Celeste per un anno intero ma vi sarà consentito di potervi incontrare una volta soltanto nella notte del settimo giorno del settimo mese dell’anno.”
A queste parole i due giovani innamorati, pensando all’idea di potersi incontrare di nuovo, ripresero a lavorare sodo con la speranza di potersi presto riabbracciare. Da quel momento in poi infatti, dopo un anno di lavoro e fatica i due ogni 7 luglio attraversano il Fiume Celeste e nel cielo stellato si incontrano.

Grazie a questa leggenda ogni anno, il 7 luglio, i Giapponesi alzano gli occhi al cielo nella speranza di poter vedere Altair e Vega ricongiungersi.

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