il film di cui parlo è "Si può fare". Un film sulla peggiore delle disabilità: la malattia mentale. Un film basato su una storia vera e di cui ho avuto l'opportunità di conoscere il protagonista, il vero Nello.
Nello, quello vero, è una grande persona, ha avuto fortuna ma ha saputo anche crearsela laddove non c'erano santi. Poi la gente cresce, cambia e diventa dell'altro, ferisce e viene ferita dagli avvenimenti della vita e, nonostante abbia deciso di diventare un estraneo nella mia vita, è molta la stima che nutro per quello che è stato, per la persona che è e non per quello in cui si è voluto trasformare.
Faccio l'insegnante di sostegno ormai da diversi anni e ogni giorno mi porto a casa un pezzetto della disabilità di ogni ragazzo con cui ho a che fare. siamo abituati a intenderla come paralisi, incapacità di fare qualcosa ma non è così: la disabilità non è data solo dalla carrozzina che permette ad Andrea di camminare, non è data solo dalla comunicazione facilitata attraverso cui Luca parla, non è data solo dal libro semplificato su cui studia Luigi. la disabilità è essere diversi ma solo chi accetta questa diversità sa vedere oltre la diversità stessa senza più vederne la disabilità. "Da vicino nessuno è normale", diceva sempre Nello, e nell'anormalità che troviamo il potenziale su cui puntare, da tirar fuori, per far sì che nessuno possa additare quella persona etichettandola come "diverso".
Stamattina nel rivedere il film, dopo parecchio tempo e una serie infinita di eventi, mi sono commossa come la prima volta. Insegnare attraverso un film ad essere adulti migliori e che tutto "si può fare" solo se si vuole, solo se si ha una mente libera dal pregiudizio, perché la libertà non sta nell'inventare scuse banali per buttarsi alle spalle cose o persone, ma la vera libertà umana sta nella capacità di star fuori dalle catene di condizionamenti e regole di giudizio per una rincorsa ad una normalità. Chi crediamo di essere per stabilire cosa sia la normalità? Solo dei presuntuosi.
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